MAMAN D’ L’EAU

13/10/2025
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15:53

letto da Annabella Calabrese



MAMAN D’ L’EAU  

Provenienza: Haiti (America)

 

«Cric?»

«Crac! Maïtt contt chaufé cont, tiré contt.»

«Si yo pa té gain soutirè yo pa ta gain volè.»

«Cric?» «Crac! Maestro dei racconti, riscaldane uno e recitalo.» «Se non ci fossero i ricettatori, non ci sarebbero i ladri.»

Tempo fa viveva una ragazzina di nome Citée. Non era troppo carina, e neanche tanto forte, e forse per questo non era molto amata dalla madre. Questa la trovava un po’ sciocca, soprattutto perché non la vedeva mai ridere o cantare. La sera, dopo il lungo lavoro della giornata, la bambina sedeva con uno sguardo un po’ assente sulla riva del mare e sognava…

Citée aveva una sorella maggiore, bella come la Vergine, rotonda come una palla, ma cattiva e senza cuore. Sempre allegra e ridente, trascorreva la giornata cantando senza mai fare nulla, neanche sparecchiare la tavola dopo mangiato. La madre si rendeva conto che la maggiore avrebbe potuto fare qualcosa di più in casa, dare una mano alla povera Citée che si spezzava la schiena tutta la santa giornata, ma la maggiore era il suo gioiello e non l’avrebbe sgridata per tutto l’oro del mondo.

Un giorno la piccola andò a lavare l’argenteria al pozzo e le cadde dentro un cucchiaio. «Idiota!» le disse la madre, «non potevi fare attenzione? Vai al diavolo se non mi porti il cucchiaio, vacci pure, ne ho abbastanza di te!»

La ragazzina era desolata e, non sapendo che fare, si sporse sul bordo del pozzo e guardò giù. Appena gli occhi si abituarono al buio, vide sul fondo, sotto l’acqua, un gruppo di ragazze che camminavano tenendosi per mano, guardandola con un dolce sorriso. Ognuna aveva al collo un piccolo cucchiaio legato con un filo d’argento. Improvvisamente la più grande del gruppo si staccò dalle altre e tese le braccia a Citée. Senza riflettere, la bambina si tuffò per raggiungerla e seguì a lungo il gruppo sotto la terra.

Dopo molti giri giunse in un posto pieno di luce, dove le ragazze scomparvero lasciandola sola. Si guardò attorno e vide in un angolo una vecchia che cercava di districarsi i capelli con un pettine rotto. La donna si accorse di lei e gridò: «Bambina mia, è il cielo che ti manda! Vienimi a grattare la schiena, sono piena di dolori e anche muovere un braccio per me è una sofferenza!»

La docile Citée si avvicinò e obbedì, grattandole la schiena piena di cocci di bottiglia fino a farsi sanguinare le mani. Quando la donna fu soddisfatta, si alzò e disse con voce quasi imperiosa: «Tendi le mani!». La bambina obbedì e si vide arrivare un grosso sputo sulle palme. Citée pensò che fosse disgustoso, ma non disse nulla, perché aveva imparato il rispetto per gli anziani.

«Sei del paese?» chiese la vecchia.

«No, Gran’n,» rispose la bambina. «È la prima volta che vengo fin qui, i miei genitori vivono molto lontano.»

«Povera piccola,» disse la vecchia con voce gentile, «allora sicuramente avrai fame. Su, entriamo in casa.»

All’entrata c’era una pentola piena d’acqua che bolliva sul fuoco; la vecchia vi gettò un chicco di riso e un pisello che, appena toccato il fondo, si moltiplicarono riempiendo la pentola. Poi disse a Citée che sarebbe andata al villaggio a fare commissioni e le raccomandò di avere cura della casa; soprattutto, le disse, se avesse visto un gatto aggirarsi nei paraggi, avrebbe dovuto rompergli le costole con la scopa vicino alla pentola.

Poco dopo apparve un gatto: magro, vecchio, con i baffi bianchi e la zoppia evidente. L’animale la guardò con occhi pieni di lacrime. «Povero gatto,» pensò Citée, «come è magro, morirà di fame. Non posso obbedire alla vecchia.» Prese allora una porzione di riso e piselli e la porse al gatto, che divorò il piatto e se ne andò.

Quando la vecchia tornò, notò che il riso era diminuito e chiese spiegazioni. La bambina, tremante, rispose: «L’ho mangiato io…».

«Senza invitarmi? Sei proprio maleducata,» la rimproverò la Maman. Ma dentro di sé sorrideva, perché sapeva di averla messa alla prova trasformandosi poco prima in gatto.

«Poiché hai già mangiato,» disse allora la vecchia, «ora sali sul granaio. Troverai le mie galline che covano uova. Molte ti chiederanno di prenderne alcune, ma non farlo. Quando una ti dirà di lasciarla stare, proprio da quella prendi tre uova. Una è la tua ricompensa per la bontà.»

Citée ringraziò e si incamminò. Giunta al primo crocicchio, lanciò un uovo che si trasformò in uno specchio d’argento. Guardandosi, scoprì di essere diventata bellissima, con abiti regali. Al secondo crocicchio lanciò un altro uovo: apparve una stupenda carrozza con cavalli, un cocchiere e bauli di vestiti e gioielli. Citée salì e proseguì il viaggio.

Al terzo crocicchio, lanciato l’ultimo uovo, apparve un grande maniero. All’ingresso c’era un giovane che la accolse con queste parole: «Vi aspettavo da tempo, mia cara, finalmente vi vedo, amore mio.»

Citée visse una notte da sogno, ma al mattino pensò alla madre e alla sorella e provò malinconia. Decise allora di mandare il cocchiere a prenderle, e quando giunsero al castello, anche loro poterono godere dei bei vestiti e della vita agiata che Citée conduceva.

Ma l’invidia gioca brutti scherzi e dopo un po’ la madre cominciò a desiderare una sorte simile anche per la figlia maggiore. Così la chiamò «Dimmi, figliola, non ti piacerebbe essere ricca come tua sorella?».

(L’avevo già detto che si chiamava Mimì?): «Certo, madre, anzi penso che una vita simile sarebbe più adatta a me che a lei».

«E allora,» continuò la madre, «ritorna a casa nostra, lancia un cucchiaio nel pozzo e aspetta; vedrai le leggiadre ragazze passare sul fondo, una di loro ti chiamerà. Tu lanciati nel pozzo come ha fatto Citée e seguila fino a che non vedrai Maman d’l’eau che ti chiederà di grattarle la schiena. È una donna molto potente: fa tutto ciò che ti dirà e diventerai ricca. E ora va, non perdere tempo.»

Mimì fece approntare una carrozza e partì verso casa. Lì, dopo aver seguito le istruzioni della madre, appoggiò stancamente le braccia al bordo del pozzo e aspettò. Già cinque minuti erano passati senza che nulla avvenisse e la ragazza cominciava a spazientirsi; così, per distrarsi un po’, raccolse dei sassi e si dilettò a gettarli nel pozzo. Dopo mezz’ora vide apparire la schiera di ragazze che abitavano il pozzo, ma la più bella di esse aveva la testa bendata: un sasso dei lanciati da Mimì l’aveva infatti ferita.

Come aveva già fatto con Citée, si distaccò dal gruppo e la invitò a scendere. Mimì non se lo fece ripetere due volte, si lanciò e le seguì fino alla fonte dove viveva la vecchia. Non appena l’ebbe vista, con l’impazienza tipica delle bambine viziate, le gridò: «Grann, non avete per caso bisogno di qualcuno che vi gratti la schiena?».

«No, figlia mia,» le rispose la donna, «ma se sarai gentile da aiutarmi a districare i capelli te ne sarò molto grata.»

E le porse il vecchio pettine rotto. I capelli erano così sporchi e aggrovigliati che sembravano nidi di uccello e sotto il pettine facevano dei grossi nodi. Ma Mimì, con poca grazia e molta fretta, li strappava selvaggiamente, facendo un gran male alla vecchia, che però sopportava senza dire una parola; infine le disse di smettere, visto che non era sicuramente un compito adatto a lei.

Come con Citée, anche stavolta la signora della fonte sputò sopra le mani di Mimì. La ragazza ne fu indignata, e alla potenza di Maman d’l’eau rispose dicendo: «Oh! Che fame che mi è venuta».

«Allora, mia cara,» disse la vecchia con tono mellifluo, «seguimi nella pentola con il riso mentre io starò a guardare. Andrò a fare compere al mercato.»

Mimì non si fece pregare. Come la prima volta, la donna lanciò un chicco di riso e un pisello nella pentola, e partendo raccomandò alla ragazza di fare buona guardia durante la sua assenza.

Rimasta sola, Mimì vide il solito gatto avvicinarsi. Stavolta, sadicamente, prese la scopa e con un colpo ben assestato gli ruppe quasi tutte le costole. Il povero animale andò via di corsa, zoppicando e miagolando di dolore.

Quando Maman ritornò era ancora più curva del solito, faceva pena a vedersi. Sollevò il coperchio della pentola e vide che il chicco di riso e il pisello non si erano moltiplicati; allora li prese e li mangiò, dicendo: «Mia cara, vedi che c’è ben poco da mangiare, ce n’è a stento per me, ma per ricompensarti ti mando nel granaio; lì ci sono delle galline che covano le uova, dovrai prenderne alcune. Vedendoti, alcune ti diranno di prendere le loro e un’altra invece ti inviterà a stare lontano: proprio da quella prendi tre uova, poi ridiscendi in strada e vai sempre dritta davanti a te…».

Maman d’l’eau non aveva neanche terminato, che la ragazza si precipitò nel granaio senza neanche ringraziarla. Lì c’erano molte galline e tutte la invitavano a prendere le uova, tutte tranne una, dalle penne arruffate e un po’ malandata, che continuava a ripetere: «Lasciami stare, non prendere le mie uova».

Mimì, guardandola, pensò che sicuramente, brutta com’era, quella gallina non potesse far altro che uova marce, e così passò oltre, finché vide una bella gallina, se la mise sotto braccio, prese tre delle sue grosse uova e scappò via.

Cammina, cammina, arrivò al primo crocicchio, gettò con violenza un uovo sul selciato e dal guscio rotto uscì una massa di rospi e serpenti. Terrorizzata, Mimì scappò a gambe levate. Impaurita e affannata, arrivò a un altro crocicchio, si sedette su di un masso per riposare e gettò a terra un altro uovo: un enorme fuoco si sprigionò ai suoi piedi e le si attaccò al vestito; Mimì urlò di terrore e riprese a correre, sempre con il pollo sottobraccio.

Al terzo crocevia vide il palazzo della sorella e cominciò a gridare: «Apritemi, apritemi o morirò!». La porta fu aperta appena in tempo; entrò nel palazzo correndo e scivolò nel corridoio, ai piedi della sorella che era venuta ad accoglierla.

Nella caduta l’ultimo uovo si ruppe, il pollo le scappò via dalle mani e, appena libero, cominciò a ingrandirsi sempre più e a cambiare forma: divenne un enorme diavolo che afferrò la giovane Mimì e colpì il pavimento con il suo piede possente.

La terra si aprì sotto di lui e le fiamme uscirono alte dalla crepa che si era creata: il diavolo vi si gettò dentro con una grossa risata, portandosi via anche l’ambiziosa Mimì.