Il tagliatore di bambù e la bambina della luna

13/10/2025
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17:20

letto da Annabella Calabrese



Il tagliatore di bambù e la bambina della luna

Provenienza: Giappone (Asia)

 

Tanto, tanto tempo fa, in un villaggio del Giappone, viveva un anziano tagliatore di bambù. La sua vita era dura e monotona: ogni mattina lasciava la sua povera casa per inoltrarsi nei boschi tra le vallate, là dove il bambù si innalzava come un mare verde, con le canne che si protendevano verso il cielo. Armato del suo umile attrezzo, sceglieva i fusti migliori, li tagliava, li fendeva, e poi li portava a casa per fabbricare utensili domestici. Con la vendita di quei piccoli manufatti, lui e la moglie riuscivano a sopravvivere.

La loro esistenza, però, era segnata da un dolore profondo: non avevano figli. L’uomo e la donna, ormai anziani, sentivano che la vita scivolava via senza che alcuna voce di bambino rallegrasse la loro casa. Spesso il vecchio sospirava: «Morirò piegato dal lavoro, senza conoscere la gioia di stringere un figlio.»

Un giorno, mentre si affaccendava in una macchia di bambù particolarmente fitta, accadde qualcosa di incredibile. Una luce dolce, chiara come quella della luna piena, invase la piantagione. Il vecchio si fermò, stupito, e vide che quel bagliore proveniva da una canna. Lasciò cadere l’ascia e si avvicinò tremando: nella cavità della pianta brillava una minuscola creatura, alta appena tre pollici, ma perfetta e radiosa come un gioiello.

Con gli occhi pieni di lacrime, il vecchio mormorò: «Tu devi essere un dono del cielo, inviato per colmare la nostra solitudine.» Con mani tremanti prese la piccola e la portò a casa. La moglie, vedendola, pianse di gioia e la depose con cura in un cesto, come fosse la creatura più preziosa al mondo.

Dal quel giorno, la loro vita cambiò. Ogni volta che il vecchio tagliava una canna di bambù, trovava dentro pepite d’oro o gemme splendenti. Così, in poco tempo, i due anziani non furono più poveri. Costruirono una grande casa, degna di una famiglia rispettata, e non furono più chiamati miserabili tagliabambù, ma persone benestanti.

La piccola crebbe in fretta. Nel giro di tre soli mesi, quella bimba di pochi centimetri divenne una giovane donna di incomparabile bellezza. I capelli le vennero pettinati come si usava per le dame adulte, indossò kimono di seta preziosa e fu sistemata dietro paraventi come una principessa. La sua bellezza era tale che sembrava fatta di pura luce: anche la notte, la sua stanza irradiava bagliori soffusi.

Il vecchio e la moglie la amavano come la figlia più cara. Quando il tagliabambù si sentiva triste o affaticato, bastava guardarla per sentirsi ringiovanire. La chiamarono Kaguya-hime, “Principessa Splendente della Notte”, perché la sua luminosità ricordava quella della luna. Organizzarono una festa di tre giorni con parenti e amici: tra canti, danze e banchetti, tutti si inchinarono davanti a tanta grazia.

La fama di Kaguya-hime si diffuse presto in tutto il Paese. Nobili e guerrieri accorrevano per contemplarla, ma i genitori la tenevano nascosta dietro veli e paraventi. Molti si fermavano per giorni e notti fuori dalla casa, nella speranza di vederla almeno un istante. Alcuni, disperati, scrivevano poesie struggenti. Col passare del tempo quasi tutti rinunciarono, tranne cinque nobili cavalieri, i più tenaci e ostinati.

Questi cinque uomini vegliavano davanti alla casa con il freddo, la neve e il caldo torrido. Scrivevano lettere, inviavano regali, componevano canzoni d’amore, ma la principessa non rispondeva mai. Alla fine, i cinque decisero di chiedere direttamente al vecchio tagliabambù di intercedere per loro.

L’anziano, intenerito, parlò con la figlia:

«Figlia mia, ormai sei grande. Io ho superato i settant’anni e vorrei vederti sposata prima di morire. Questi cinque giovani ti hanno dimostrato un amore tenace. Non potresti incontrarli almeno una volta?»

Kaguya-hime abbassò gli occhi e disse:

«Padre, voi siete per me come un vero genitore. Vi amo e vi onoro, ma non desidero sposarmi.»

Il vecchio insistette: «Sei bellissima e il tuo destino non può essere la solitudine. Quando io e tua madre non ci saremo più, chi si prenderà cura di te? Almeno concedi loro una possibilità.»

Dopo un lungo silenzio, la principessa rispose:

«Allora li metterò alla prova. Non li incontrerò finché non avranno portato ciò che chiedo.»

Quella stessa sera, i cinque furono convocati. Tremanti di emozione, ascoltarono le sue parole:

«Se volete la mia mano, portatemi un dono raro. Al primo chiedo la sacra coppa di pietra appartenuta a Buddha in India. Al secondo, un ramo dell’albero miracoloso che cresce sul Monte Horai, dalle radici d’argento e dal tronco d’oro. Al terzo, la pelle del leggendario topo di fuoco, che non teme le fiamme. Al quarto, la pietra preziosa che il drago porta sulla fronte. Al quinto, la conchiglia custodita nello stomaco di una rondine. Solo colui che riuscirà, sarà mio sposo.»

Il vecchio rimase turbato: quelle prove sembravano impossibili. Ma i cavalieri, pur atterriti, accettarono.

Il primo, troppo timoroso per affrontare il lungo viaggio verso l’India, si recò invece in un tempio di Kyoto. Lì corrompeva un monaco e ottenne una comune coppa, che fece avvolgere in stoffe preziose. Dopo pochi giorni tornò a presentarsi dal vecchio.

«Come hai fatto a tornare così presto?» chiese Kaguya-hime sorpresa.

Il cavaliere, con aria solenne, le porse la coppa. Ma quando la principessa la sollevò, non emanò alcuna luce. «Questa non è la coppa di Buddha. È un inganno.» Lo respinse senza esitazione. Il cavaliere, umiliato, fuggì disperato.

Il secondo partì con grande seguito, fingendo di dirigersi al Monte Horai. In realtà si chiuse in una villa segreta con abili artigiani, che per mesi lavorarono a un ramo artificiale d’oro e d’argento tempestato di gemme. Quando l’opera fu pronta, si presentò lacero e smunto, fingendo di tornare da un lungo viaggio.

Il vecchio, commosso, disse: «Guarda, figlia mia, che dono meraviglioso! Questo giovane ha compiuto un’impresa impossibile.»

Ma Kaguya-hime, osservando con attenzione, scosse il capo: «Nessun uomo può ottenere un simile tesoro in così poco tempo. Questo è artificiale.»

In quel momento, gli artigiani comparvero chiedendo il loro compenso. La verità fu svelata, e il cavaliere cacciato.

Il terzo scrisse a un amico in Cina, pregandolo di inviargli la pelle del leggendario topo di fuoco. Pagò profumatamente e, quando la ricevette, la portò con orgoglio alla principessa. Ma ella disse: «Se è davvero la pelle del topo di fuoco, non brucerà.» E ordinò che fosse gettata nelle fiamme. La pelle si ridusse subito in cenere.

Il quarto cavaliere, spaventato dalla missione contro un drago, mandò servi al suo posto. Essi si dispersero e mai tornarono. Dopo un anno d’attesa, egli tentò da solo un viaggio per mare, ma una tempesta lo travolse. Ammalato e sconfitto, rinunciò con rabbia e vergogna.

Il quinto, infine, tentò di catturare una rondine per estrarre la conchiglia dal suo stomaco. Arrampicatosi sui tetti, cadde e rimase gravemente ferito.

Così tutti fallirono. I cinque pretendenti, sconfitti e umiliati, abbandonarono i loro sogni. Kaguya-hime rimase sola, e la sua fama continuò a crescere.

La fama di Kaguya-hime arrivò fino alle orecchie dello stesso Imperatore. Incuriosito, inviò una dama di corte a verificarne la bellezza. Ma la giovane rifiutò di incontrarla.

«Se mi costringerete a recarmi a palazzo,» disse al padre, «scomparirò per sempre.»

Quando la risposta giunse all’Imperatore, egli decise di vederla con i propri occhi. Organizzò una battuta di caccia nei pressi della casa del tagliabambù e vi si recò in segreto.

Entrò senza farsi annunciare, e la trovò dietro i paraventi. Non appena i loro sguardi si incontrarono, l’Imperatore rimase incantato: mai aveva visto creatura più luminosa e bella.

«Vieni con me,» la supplicò. «Sarai onorata come nessun’altra. La tua bellezza non può rimanere nascosta in una casa di campagna.»

Ma Kaguya-hime abbassò il volto tra le maniche e rispose: «Se tenterete di portarmi via, svanirò in ombra.» E mentre parlava, il suo corpo cominciò a dissolversi nella luce.

Sconvolto, l’Imperatore giurò: «Non ti costringerò mai. Rimani libera, ma lascia che ti ami con la mia poesia.»

Così iniziò tra loro una corrispondenza. L’Imperatore inviava versi colmi di passione, e la principessa rispondeva con componimenti dolci ma malinconici, spiegando che il suo destino non le avrebbe mai permesso di sposare un uomo della Terra. Nonostante la distanza, l’Imperatore la pensava notte e giorno, incapace di dimenticarla.

Col passare del tempo, però, i genitori notarono che la principessa si faceva sempre più triste. Spesso passava le notti sul balcone, fissando la luna, e le lacrime le rigavano il volto.

Una sera, il vecchio si avvicinò e la trovò in lacrime. «Figlia mia,» le disse, «cosa ti affligge?»

Kaguya-hime lo guardò con occhi velati di dolore: «Padre, la verità non può più essere nascosta. Io non appartengo a questa Terra. Vengo dalla Luna, e presto tornerò da dove sono venuta. Il quindicesimo giorno di questo mese d’agosto verranno a prendermi. Io vi amo come veri genitori, e mi addolora lasciarvi, ma non ho scelta.»

Il vecchio e la moglie caddero nello sconforto. Smisero di mangiare, consunti dal dolore.

Quando la notizia giunse all’Imperatore, egli inviò messaggeri a indagare. Il tagliabambù, tra le lacrime, confermò tutto. Allora l’Imperatore decise di opporsi al destino: «Manderò i miei migliori arcieri. Nessuno porterà via la Principessa.»

Il giorno stabilito, duemila soldati circondarono la casa: mille sugli spalti del tetto, mille a guardia delle porte. Tutti armati di archi e frecce, pronti a difenderla.

Ma Kaguya-hime scosse il capo: «È inutile. Nessuna forza terrena può opporsi a chi verrà dalla Luna.»

Giunse la notte. La luna splendeva enorme e dorata. All’improvviso, una nube luminosa discese dal cielo, avvolgendo la casa. Nel silenzio attonito, apparve un cocchio volante con esseri splendenti. Il loro capo, sospeso a mezz’aria, gridò: «Kaguya-hime, il tuo tempo sulla Terra è finito. Ritorna con noi. La tua punizione è conclusa.»

Il vecchio corse avanti, supplicando: «L’ho allevata per vent’anni. Non portatela via! È la mia unica figlia!»

Ma la principessa, con il volto rigato di lacrime, si alzò e uscì. Si voltò verso i genitori adottivi e disse: «Non vi lascio per mia volontà. Ogni volta che guarderete la luna, ricordate che io vi amo.» E consegnò al padre il suo mantello ricamato come ricordo.

Prima di salire sul cocchio, prese carta e pennello e scrisse una lettera all’Imperatore. Vi racchiuse un piccolo flacone dell’Elisir dell’Immortalità. «Portategli questo,» disse. «Così saprà che il mio cuore è stato sempre con lui.»

Poi gli esseri della Luna le porsero una veste di piume. «Indossala,» dissero, «e dimenticherai ogni dolore terreno.»

Kaguya-hime esitò, pregando che le fosse concesso di terminare la lettera. Quando ebbe scritto le ultime parole, si lasciò rivestire. La veste di piume avvolse il suo corpo e, lentamente, ogni emozione umana svanì dai suoi occhi. Senza più lacrime, salì sul cocchio, che si innalzò nel cielo.

I genitori e i soldati la guardarono svanire tra le nuvole, finché la prima luce del sole non cancellò il corteo celeste.

La lettera giunse all’Imperatore lo stesso giorno. Egli pianse a lungo, stringendo l’involto. Ma quando vide l’Elisir di Lunga Vita, lo respinse. «Che senso ha vivere in eterno senza di lei?»

Ordinò allora che la lettera e l’Elisir fossero portati sulla cima del sacro Monte Fuji e bruciati. Le fiamme si levarono alte, e il fumo salì verso il cielo.

Da quel giorno, si dice che il fumo che si vede ancora oggi salire dal Monte Fuji sia quello dell’Elisir che arde senza fine, come eterno ricordo della Principessa Splendente.