La donna scheletro

13/10/2025
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letto da Roberto Luigi Mauri



La Donna Scheletro

Provenienza: CANADA ARTICO (AMERICA)

 

Aveva fatto qualcosa che il padre non approvava, benché ormai nessuno ricordasse più di che si trattasse. Ma suo padre l’aveva trascinata fino alle scogliere e l’aveva gettata giù, in mare.

Giacendo sotto le onde, il suo scheletro si rigirava senza pace nelle correnti. Un giorno arrivò un pescatore. In realtà, un tempo molti venivano a pescare in quella baia, ma quell’uomo era giunto alla deriva, lontano dalla sua terra, e non sapeva che i pescatori locali la evitavano, dicendo che quel luogo era infestato. L’amo del pescatore scese nelle profondità e si impigliò proprio nella gabbia toracica della Donna Scheletro.

Il pescatore pensò: «Oh, questa volta ne ho preso uno davvero grosso! Questa sì che è una preda!» E già fantasticava su quante persone avrebbe potuto sfamare, per quanto tempo il pesce sarebbe durato, quanto a lungo sarebbe stato libero dalla fatica della caccia. Ma mentre lottava con quel peso enorme attaccato all’amo, il mare si agitava in un ribollire furioso, e il suo kayak sobbalzava e tremava, perché colei che stava sotto si dibatteva per liberarsi. E più si dimenava, più si attorcigliava nella lenza. Qualunque cosa facesse, veniva trascinata inesorabilmente verso la superficie, tirata su dalle stesse ossa delle sue costole.

Il pescatore si era voltato a prendere la rete, e non vide la testa calva che emergeva dalle onde, non vide le minuscole creature coralline brillare negli occhi vuoti del suo cranio, non vide i crostacei annidati tra i vecchi denti d’avorio. Quando si voltò di nuovo con la rete in mano, l’intero corpo di lei, o meglio ciò che ne rimaneva, era venuto a galla e penzolava dalla prua del kayak, appeso ai lunghi denti anteriori.

«Aah!» gridò l’uomo, e il cuore gli cadde nelle ginocchia, gli occhi gli si rovesciarono all’indietro per il terrore, le orecchie gli arsero di rosso vivo. «Aah!» urlò, e con la pagaia la respinse via dalla prua, cominciando a remare come un forsennato verso la riva. Non si rese conto che era ancora impigliata alla sua lenza, e fu ancor più spaventato quando gli parve che lei lo inseguisse in punta di piedi, fino a riva.

Non importava come zigzagasse con il kayak: lei era sempre dietro, il suo respiro si spandeva sull’acqua in nubi di vapore, e le braccia agitavano l’aria come per ghermirlo e trascinarlo giù negli abissi. «Aah!» ululava, mentre il kayak si incagliava. Con un balzo fu a terra, stringendo il bastone da pesca e correndo, e il corpo corallino della Donna Scheletro, sempre aggrovigliato alla lenza, sobbalzava e rimbalzava dietro di lui. Corse tra le rocce, e lei lo seguiva. Corse sulla tundra ghiacciata, e lei gli stava addosso. Corse sopra la carne messa a seccare, spezzandola in mille pezzi sotto i suoi mukluk.

E lei non smise di seguirlo, anzi, raccolse alcuni pesci congelati mentre veniva trascinata e cominciò a divorarli, perché da moltissimo tempo non mangiava. Finalmente l’uomo raggiunse l’igloo e si infilò di corsa nel tunnel, strisciando a quattro zampe fino all’interno. Ansante e singhiozzante, si lasciò cadere al buio, col cuore che rullava come un tamburo, un tamburo possente. Salvo, finalmente salvo. Oh, grazie agli dèi, grazie a Corvo, sì, grazie a Corvo, e a Sedna, la generosa signora del mare. Salvo… alla fine. Ma immaginate la sua sorpresa, quando accese la lampada a olio di balena e vide lei – o ciò che era – riversa sul pavimento di neve, un tallone sulla spalla, un ginocchio dentro la gabbia toracica, un piede piegato sull’avambraccio.

Non seppe mai dire, in seguito, cosa lo mosse. Forse la luce del fuoco aveva addolcito i suoi tratti, o forse era perché era un uomo solo… ma nel suo respiro entrò un sentimento di pietà. Lentamente tese le mani callose e, con parole dolci come quelle di una madre a un bambino, cominciò a districarla dalla lenza. «Oh, na, na, na…» Prima liberò le dita dei piedi, poi le caviglie. «Oh, na, na, na…» Continuò a lungo, per tutta la notte, finché non ebbe rivestito le ossa in ordine con pelli calde. Poi frugò nei suoi polsini di cuoio per trovare l’esca di selce, strappò un ciuffo dei propri capelli per accendere un po’ di fuoco in più. Di tanto in tanto la guardava, mentre oliava il prezioso bastone da pesca e riavvolgeva la lenza di budello.

E lei, rannicchiata nelle pelli, non proferì parola – non osava – temendo che il pescatore potesse trascinarla fuori e fracassare le sue ossa sulle rocce. L’uomo si assopì, scivolò sotto le pellicce, e presto si addormentò. Talvolta, sapete, mentre gli umani dormono, una lacrima sfugge dall’occhio del sognatore: non sappiamo mai quale sogno la provochi, ma sappiamo che è di tristezza o di desiderio. Così accadde all’uomo. La Donna Scheletro vide la lacrima brillare nella luce del fuoco e fu colta da una sete improvvisa. Tintinnando e scricchiolando, strisciò fino all’uomo addormentato e avvicinò la bocca alla sua lacrima.

Quella singola lacrima era come un fiume, e lei bevve e bevve, finché la sua sete di tanti anni non fu saziata. Poi, stesa accanto a lui, allungò le mani nel petto del dormiente e ne trasse il cuore, il grande tamburo. Si mise a batterlo sui due lati: Bom Bomm!… Bom Bomm! E mentre percuoteva, cominciò a cantare: «Carne, carne, carne! Carne, carne, carne!» E più cantava, più il suo corpo si rivestiva di carne. Cantò per avere capelli, occhi buoni, mani piene. Cantò per il grembo e per il seno lungo da avvolgere per scaldarsi, e per tutte le cose di cui una donna ha bisogno. E quando ebbe finito, restituì il grande tamburo, il cuore, al corpo del pescatore. Ed è così che al mattino si svegliarono avvolti l’uno nell’altra, intrecciati dal loro sonno, ma in un altro modo, un modo buono e duraturo.

Chi non ricorda come sia cominciata la disgrazia della donna scheletro, dice che lei e il pescatore partirono insieme e furono sempre ben nutriti dalle creature che lei aveva conosciuto nel suo tempo sotto le acque. E la gente dice che è vero, ed è tutto ciò che sa.