La regina delle nevi

13/10/2025
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15:09

letto da Roberto Giannuzzi



La Regina delle Nevi  

 

Di  Hans Christian Andersen

Provenienza: Danimarca (Europa)

 

C’era una volta il diavolo, in forma di troll, che costruì uno specchio malvagio: ogni cosa bella spariva o si deformava, mentre il brutto e il cattivo apparivano peggiori. I suoi allievi di magia portarono lo specchio in giro deformando il mondo intero, finché vollero salire in cielo per deridere Dio e gli angeli. Ma lo specchio tremò per le risate, cadde e si frantumò in miliardi di pezzi.

Da allora, i frammenti entrarono negli occhi e nei cuori degli uomini: chi li aveva negli occhi vedeva tutto storto e cattivo, chi li aveva nel cuore diventava freddo come il ghiaccio. E il diavolo rideva del male che aveva seminato.

In una grande città vivevano due bambini poveri, Kay e Gerda. Le loro case erano vicine e, tra le finestrelle delle soffitte, i genitori avevano posto cassette con erbe e rose, che d’estate formavano un piccolo giardino sospeso dove i bambini giocavano felici. D’inverno invece si guardavano attraverso piccoli fori nel ghiaccio dei vetri.

Un giorno la nonna guardando i fiocchi di neve disse: «Sono bianche api che sciamano!».

«Hanno anche loro un’ape regina?» chiese Kay.

«Certo che ce l’hanno!» rispose la nonna. «Vola dove le api sono più fitte! È più grande di tutte, e molte notti d’inverno passa davanti alle finestre, che si ricoprono di fiori di ghiaccio.»

«La regina delle nevi può entrare qui?» domandò Gerda.

«Lascia che venga!» disse Kay. «La metto sulla stufa calda, così si scioglie.»

Una sera Kay vide davvero la Regina delle Nevi alla finestra, splendida ma fatta di ghiaccio, e si spaventò. Poi venne la primavera e i bambini si tennero per mano sotto le rose cantando:

«Le rose crescono nelle valli, laggiù parleremo con Gesù Bambino!»

Ma un giorno Kay gridò: «Ahi! Ho avuto una fitta al cuore, e mi è entrato qualcosa nell’occhio!». Gerda lo guardò, ma non vide nulla: era un frammento dello specchio malvagio, entrato anche nel cuore.

«Perché piangi?» disse. «Sei brutta quando piangi, e poi io non ho niente! Uh! quella rosa è stata morsicata da un verme! E guarda: quell’altra è tutta storta! In fondo sono rose orribili!» Colpì la cassetta strappando due rose e corse via.

Da allora cambiò: chiamava i libri di Gerda «un passatempo per bambini», e alla nonna rispondeva sempre «Mah», imitando la gente e ridendone.

Un giorno d’inverno Kay corse fuori con lo slittino. Una grande slitta bianca guidata da una donna lo trascinò via. Quando il bambino tentò di sciogliere il laccio, non riuscì. La dama si voltò: era la Regina della Neve.

«Abbiamo fatto un bel giro! Ma che freddo! Riparati nella mia pelliccia di orso!» disse, baciandolo sulla fronte. Il bacio era più freddo del ghiaccio.

«Lo slittino? Non dimenticare il mio slittino!» gridò Kay. La Regina lo fece legare a una delle sue galline bianche e gli diede un altro bacio: allora dimenticò Gerda e la sua casa.

«Non ti darò più baci!» disse la regina. «Altrimenti ti farei morire.»

Kay la guardò, la trovò bellissima, e volò con lei sopra boschi e laghi, finché si addormentò ai suoi piedi nella lunga notte d’inverno.

Quando Kay non tornò, nessuno seppe dove fosse. I ragazzi raccontarono soltanto di averlo visto legare lo slittino a una slitta bianca, uscita dalla città. Gerda pianse a lungo; poi si disse che era morto, annegato nel fiume. Ma la primavera tornò, e anche la speranza.

«Kay è morto, è sparito» diceva Gerda.

«No, non lo credo!» rispondeva il sole.

«È morto, è sparito» disse alle rondini.

«Non lo crediamo!» risposero loro.

Un giorno indossò le sue scarpette rosse e andò al fiume: «È vero che hai preso il mio piccolo compagno di giochi? Ti regalerò le mie scarpette rosse se me lo renderai di nuovo.» Le gettò nell’acqua, ma le onde le riportarono a riva. Allora salì su una barca per lanciarle più lontano, ma la corrente la trascinò via, fino ad arrivare ad un giardino di ciliegi con una casetta dal tetto di paglia. Dalla porta uscì una vecchia con un grande cappello ornato di fiori.

«Oh, povera bambina, come hai fatto a venir trascinata così lontano?» disse, afferrando la barca col bastone e portando Gerda a riva. «Vieni, raccontami chi sei.»

Gerda narrò la sua storia, poi chiese: «Non hai visto il piccolo Kay?».

«Non è ancora passato di qui» rispose la vecchia. «Ma verrà senz’altro. Intanto mangia le ciliege e guarda i fiori, ognuno sa raccontare una storia.»

La donna la condusse in casa, le pettinò i capelli con un pettine d’oro e, per trattenerla, fece scomparire dal giardino tutti i rosai. Così Gerda, giocando tra fiori meravigliosi di ogni stagione, dimenticò Kay.

Un giorno, però, vide una rosa dipinta sul cappello della vecchia. «Come! Non c’è neppure una rosa?» disse. Cercò invano tra le aiuole, poi pianse. Le sue lacrime caddero sulla terra, e subito un rosaio riemerse. Gerda lo abbracciò e pensò a Kay.

«Oh, quanto tempo ho perso! Devo trovare Kay! Voi non sapete dove si trova?» chiese alle rose.

«No, non è morto» risposero loro. «Siamo state sotto terra, ma Kay non c’era.»

Allora Gerda interrogò altri fiori. Ognuno raccontò la propria storia, ma nessuno parlò di Kay.

«Non serve a nulla che io chieda ai fiori» disse. «Non mi danno notizie.» E, aperto il cancello del giardino, corse di nuovo nel vasto mondo.

Fuori, stanca e sola, incontrò una cornacchia che le disse:

«Cra, cra! Buon dì, Buon dì!».

La bambina le raccontò la sua storia e chiese notizie di Kay.

«Può essere! Può essere!» disse la cornacchia. «Forse è con la principessa!»

«Abita presso una principessa?» domandò Gerda.

«Sì, ascolta!» rispose la cornacchia, raccontando che la principessa aveva deciso di sposarsi con un uomo intelligente. Molti giovani avevano provato, ma si erano confusi alla vista delle guardie e delle sale splendenti. «Il terzo giorno arrivò un giovane dai vestiti poveri, ma audace e grazioso.»

«Era Kay!» gridò Gerda felice. «Ah, allora l’ho trovato!»

«Aveva un fagotto sulle spalle» aggiunse la cornacchia.

«No, era lo slittino» spiegò Gerda.

«È possibile» disse l’uccello.

La cornacchia promise di chiedere aiuto alla sua fidanzata, che viveva al castello. Grazie al suo aiuto Gerda entrò nel castello tremante e, alzando un petalo del letto rosso, vide una nuca bruna. «Kay!» gridò. Ma non era lui: era il giovane principe. La principessa si svegliò e, ascoltata la storia, disse: «Oh poverina!». Entrambi lodarono le cornacchie e offrirono loro una ricompensa, avrebbero avuto un incarico fisso come cornacchie di corte, poi rivestirono Gerda di seta e velluto e le offrirono di restare, ma lei chiese solo «una piccola carrozza con un cavallo e un paio di stivaletti». Così partì.

Nel bosco scuro, la carrozza dorata attirò i briganti che assaltarono il corteo e trascinarono fuori Gerda. La vecchia moglie del brigante, con barba e sopracciglia smisurate, esclamò: «È grassa, è graziosa… Uh, deve essere saporita!», ma la figlia la morse all’orecchio. «Deve giocare con me! Mi deve dare il suo manicotto… e dormirà nel mio letto!».

Le due bambine corsero in carrozza fino al castello dei briganti. La figlia del brigante mostrò a Gerda i suoi animali e il coltello: «Non ti uccideranno finché io non mi arrabbierò con te!». Gerda le raccontò di Kay. Dall’alto, i colombi del bosco intervennero: «Curri Curri noi abbiamo visto il piccolo Kay… una gallina bianca portava la sua slitta… nella carrozza della regina della neve… Curr! Curri. È sicuramente andata in Lapponia… Prova a chiedere alla renna».

La renna confermò: «Là si trova la tenda estiva della regina… il suo castello è vicino al Polo Nord, a Spitzberg!».

«Oh Kay, piccolo Kay!» sospirò Gerda. «Tu sai dove si trova la Lapponia?» chiese la figlia del brigante alla renna. «Chi dovrebbe saperlo meglio di me?», disse l’animale. La ragazza decise allora di aiutare Gerda: «Quando… la mamma… fa un pisolino; a quel punto farò qualcosa per te!». Più tardi sciolse la renna: «Corri, su! Ma stai bene attenta alla bambina».

Consegnò a Gerda stivaletti e guantoni: «Eccoti i tuoi stivaletti di pelo… Adesso hai le mani proprio come quelle della mia brutta mamma!».

Gerda pianse; «Non mi piace che tu pianga!… Eccoti due pani e un prosciutto». Gerda la salutò e partì.

Tra ululati e cornacchie, la renna corse senza sosta. «Ecco la mia cara aurora boreale!» disse. Corsero giorno e notte, finirono i pani e il prosciutto, e giunsero in Lapponia.

La renna e Gerda arrivarono a una povera casetta della Lapponia, dove una vecchia friggeva pesce su una lampada a olio di balena. La renna raccontò la storia, mentre Gerda, infreddolita, non riusciva a parlare.

«Ah, poveretti!» disse la donna. «Dovete viaggiare ancora a lungo! Più di cento miglia fino in Finlandia. Scriverò un messaggio su un baccalà secco.»

La donna scrisse due righe, legò Gerda alla renna e li mandò via. Nella lunga corsa brillarono le aurore boreali, finché giunsero alla casa della donna di Finlandia. La donna lesse il messaggio sul baccalà, poi lo buttò nella pentola.

La renna la implorò: «Non vuoi dare a questa bambina una bevanda in modo che abbia la forza di dodici uomini e possa vincere la regina della neve?».

«La forza di dodici uomini? A cosa servirebbe?» rispose la donna. «Kay è davvero presso la regina della neve. Ma ha nel cuore una scheggia di vetro e un granellino nell’occhio: finché non saranno tolti, resterà suo prigioniero. Io non posso darle una forza più grande di quella che già ha: il potere è nel suo cuore innocente. Tu, renna, portala fino al cespuglio di bacche rosse, poi torna indietro.»

Gerda fu caricata di nuovo sulla renna e la corsa non si fermò finché giunsero al cespuglio. Poi la baciò e corse via, lasciandola sola.

Subito apparve un reggimento di fiocchi di neve, vivi e mostruosi, avanguardia della Regina. Gerda recitò il Padre Nostro: il suo respiro gelato divenne piccoli angeli trasparenti con spade e scudi che combatterono i fiocchi così che Gerda poté avanzare e raggiungere il castello della Regina della Neve, fatto di neve e vento. Al centro, un lago ghiacciato in mille pezzi identici: lo specchio dell’intelligenza, sul quale la Regina sedeva.

Kay, quasi nero per il freddo, non lo sentiva, perché un bacio gli aveva tolto il brivido. Con i pezzi di ghiaccio cercava di formare figure, ma non riusciva mai a comporre la parola che voleva: «eternità». La Regina gli aveva detto: «Se riuscirai a comporre quella parola, diventerai signore di te stesso, e io ti regalerò il mondo intero e un paio di pattini nuovi». Poi era partita per i paesi caldi, lasciandolo solo.

Gerda entrò nel castello recitando la preghiera della sera: il vento si calmò, ed ella trovò Kay. «Kay! Dolce piccolo Kay! Finalmente ti ho trovato!» gridò, abbracciandolo. Ma lui restò immobile. Le lacrime di Gerda caddero sul suo petto, sciolsero il ghiaccio del cuore e dissolsero la scheggia dello specchio. Lei cantò:

Le rose crescono nelle valli, laggiù parleremo con Gesù Bambino!

Kay pianse; le lacrime spinsero fuori il frammento dagli occhi. «Gerda, dolce piccola Gerda! Dove sei stata tutto questo tempo? E dove sono stato io? Che freddo fa qui! Com’è tutto vuoto e enorme!» disse.

I pezzi di ghiaccio danzarono e si disposero da soli componendo la parola “eternità”. Gerda baciò Kay sulle guance, sugli occhi, sulle mani e sui piedi: egli ritrovò calore, salute e gioia. Si presero per mano e uscirono: i venti si placavano, il sole splendeva.

Trovarono la renna, che li baciò, e ricevettero ospitalità dalla donna di Finlandia e da quella della Lapponia. Poi salutarono tutti e ripresero la strada.

Sulla via incontrarono la figlia del brigante: «Sei proprio un bel tipo a andare in giro per il mondo! Mi piacerebbe sapere se meriti che la gente vada fino alla fine del mondo per te!» disse a Kay. Raccontarono tutto, e lei, dopo aver stretto loro la mano, ripartì.

Kay e Gerda camminarono insieme: dove passavano, la primavera sbocciava. Le campane della città suonarono, riconobbero la loro casa e la stanza della nonna, dove tutto era come prima. Ma ora erano adulti, eppure bambini nel cuore.

La nonna leggeva: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli». E Kay e Gerda compresero l’antico inno:

Le rose crescono nelle valli, laggiù parleremo con Gesù Bambino!

 Era estate, la calda estate benedetta.